Letti, annegati, fotografati

Sergio Bertelli – 2009

Bertelli: Vedo che dedichi il tuo libro a quanti hanno rifiutato di consegnarti il volume che stavano leggendo, perché tu potessi gettarlo a mare. Hanno certo pensato che tu volessi distruggere “la parola”, o, come tu stessa avvisi in apertura (blasfema?), “il verbo”. Per me, che amo la pagina immacolata, che ho orrore persino di sottolineare una frase, un passo, che ho il culto per il libro intatto (non certo intonso), per chi, come me, ritiene che un brano sottolineato sia un testo che ha perso la possibilità di essere riletto, comprendo benissimo il rifiuto. Eppure, il tuo gesto è talmente sacrilego che mi affascina, mi dà la vertigine, come se mi trovassi sul vuoto dell’abisso. Mi urge una domanda: quali sono stati gli impulsi che ti hanno guidata nella scelta delle opere da distruggere? Una scelta meditata, o irrazionale?

Florescu: Non voglio entrare nel gioco della torre, mi sentirei in un labirinto senza uscita. Né credo sia mio compito interpretare in chiave concettuale gli esiti di questi scatti. Quando tu osservi una natura morta non ti chiedi perché il pittore sceglie di rappresentare una mela piuttosto che un melograno. Ma è indubbio che ogni frutto rimanda a una simbologia.

B: Certo, la mela rinvia a Eva, il melograno a Proserpina. Vi è dunque un messaggio che andrà esplicitato.

F: Dato che insisti sul fatto interpretativo posso risponderti che vi sono vari messaggi. A ognuno il suo. Per me è stato determinante anche il dato estetico e non sarei sincera se non lo ammettessi. L’acqua è una lente meravigliosa, piena di sorprese. Inoltre vi è il messaggio di Narciso che si innamora di sé stesso attraverso lo specchio d’acqua. Anche il libro sommerso ci rinvia un’immagine sublimata, per questo non è importante riconoscerlo (Dostoevskij, De Roberto, Shiel…). Un passo oltre è stato il libro recuperato, fatto asciugare e trasformato in “scultura”. Ma il buttar libri in acqua diviene anche un monito. Che uso facciamo dei nostri libri? Qual è il loro destino ultimo? Spariranno in era digitale? Quali sono i criteri di selezione? Io credo che un libro in acqua sia un’immagine commovente, di una sacralità perduta. Si può anche vedere nel buttar libri in acqua un atto provocatorio; ma potrei chiederti: sul nostro letto di morte a cosa saranno servite tante letture? Mio fratello tiene sulla scrivania, in posizione verticale, The Book of Knowledge: un grande foro lo attraversa da parte a parte. L’aria come l’acqua. Mi viene anche in mente il testo di un mistico inglese anonimo del Trecento: The Cloud of Unknowing cioè la nube della non conoscenza. Secondo l’autore per raggiungere il divi- no dobbiamo fare tabula rasadi quanto abbiamo in precedenza appreso. Certo è che Kien, il protagonista di Autoda fé di Elias Canetti, nel vedermi gettare i libri in acqua, mi avrebbe condannato a mille bastonate, fatto segare nella piazza del mercato, lentamente e nel senso della lunghezza, in modo da far durare il supplizio più a lungo. Non avrebbe capito una differenza sostanziale tra acqua e fuoco: tutto finisce in cenere ma tutto nasce dall’acqua. Senza acqua non c’è vita. Tu stesso hai ricordato Marcel Mauss: l’acqua separa strati diversi di purezza.

B: Per rispondere alla tua domanda, spero proprio che la carta non venga sostituita dal digitale. Il nostro quotidiano è stato allietato proprio dal piacere della lettura tattile (di qui la difficoltà che io provo nell’usare il libro elettronico). Abbiamo vissuto arricchiti dal colloquio con gli spiriti di Dante, di Petrarca, di Shakespeare e di tanti altri autori. Per tornare a Kien, pensa che un giorno rifiutai il voto a uno studente che si era presentato all’esame con un libro del Settecento sottolineato con il pennarello. Ma non sfuggire alla domanda: perché della Divina commediabuttare in acqua l’Infernodi Dante, e salvare il Purgatorioe il Paradiso? Fosse stato per me, avrei fatto il contrario.

F:Ma è proprio l’Inferno, con la sua selva oscura, i tormenti inflitti dai demoni alle anime dannate che stimola l’immaginazione. È proprio l’idea di inferno che dovremmo abolire. Ciò nonostante, ti invito, alle sette del mattino, su una spiaggia deserta con una copia della Divina commedia per scattare una nuova serie di fotografie. La scelta ha la consapevolezza della casualità. Ricordati che stiamo parlando di “umana sintesi”. In gioventù, abbiamo conosciuto un disordine di letture, un disordine che ci ha arricchito intellettualmente. E a questo disordine mi sono rifatta.

B: Accetto l’invito e il richiamo. Ma chiariti questi punti, mi interessa un altro aspetto del tuo lavoro: quello del dialogo tra testo e fotografia. Ogni scatto è accompagnato da un brano estratto dal volume affogato: qui le scelte non mi appaiono affatto casuali. Si vede a monte un lavoro erudito e certosino e si scopre una trama che collega la foto col testo. Ad esempio, esiste una evidente correlazione col buio dell’acqua dantesca; tra il giallo del fondo sabbioso e la canzone di Ariel; tra l’acqua incendiata dello scatto fotografico e il rogo di Kien in Auto da fé. È il testo che suggerisce l’immagine o viceversa?

F: È stato un viaggio à double sens. A volte l’uno, a volte l’altro. Ad esempio, nel caso specifico di una delle immagini tratte da Gomorra il fatto che sia apparso, in modo direi drammaticamente coincidente, un teschio, ha determinato la scelta della citazione. Inoltre, a posteriori, mi sono resa conto che quasi tutte le opere di letteratura classica buttate in acqua – Padri e figli di Turgenev, Le PèreGoriot di Balzac, Northanger Abbey di Jane Austen, I vicerédi De Roberto, Seminario sulla gioventù di Aldo Busi e The Darling di Russell Banks – avevano un denominatore comune: trattavano tutte, in modo più o meno evidente, del problematico rapporto (per eccesso o per difetto d’amore) tra una generazione e l’altra, tra genitori e figli. Incredibile. Quando si parla di forza del destino, o piuttosto di forza dell’inconscio…

B: Tu non registri l’esistente, lo crei. Sei in grado di produrre dei quadri senza usare il pennello, ma con uno strumento tecnologico quale la macchina fotografica.

F: Forse in altri miei lavori ciò che dici risulta più evidente perché le immagini qui riprodotte sono pur sempre immagini di libri quasi sempre riconoscibili. In tutti i modi sono una pittrice mancata, perdona la banalità dell’affermazione. Il pittore ha il vuoto della tela bianca, lo scrittore quello della pagina bianca. Questo nel processo creativo è fonte di deliziosa angoscia. Il fotografo, invece, non ha mai un vuoto davanti a sé. Deve solo scegliere, spostare lo sguardo, interpretare gli elementi preesistenti. Non compete mai con il caos, né si sente un dio. Si mette in moto allorché lo scatto della partenza è già dato.

B: Non sono d’accordo. Tu non fotografi soggetti preesistenti (un paesaggio, un’architettura, un volto), tu crei il soggetto. Voglio dire: usi la lente al posto del pennello, ma sei tutto fuorché un fotografo.

F: In effetti, è la prima volta che creo il soggetto o piuttosto che creo la scena. In questo senso hai ragione. Quanto al non essere un fotografo, non lo sono in quanto non mi interessano né tempo, né spazio, né luogo, le tre unità che in genere trapelano da ogni scatto.

B: Hai fotografato un libro che esula dagli usuali parametri. Un libro che mi riesce difficile riconoscere, Cradle to Cradle, il cui titolo risulta di una nitidezza sorprendente. È uno scatto digitale?

F: Questa volta ho scattato sia in digitale sia in analogico. Il risultato è più o meno lo stesso. La nitidezza non dipende dalla macchina fotografica, ma dal libro fotografato (detto per inciso è di McDonough e Braungart). Cradle to Cradlenon è fatto di cellulosa, o di fibre di cotone, ma di derivati di resine di plastica e da residui inorganici, completamente sintetico. È un libro quasi indistruttibile. Per giunta il materiale con il quale è fatto può essere scomposto e riutilizzato senza fine. Oltre a essere un libro provocatoriamente ecologico, mi piaceva soprattutto il titolo: Da culla a cullapiuttosto che da culla a tomba.

B: L’acqua è il fluire della vita, dalle onde affiorano brandelli della nostra memoria. Il tuo è insomma un messaggio di speranza nell’eternità. Per mio conto, ti confesso che mi limiterò a immergermi nelle tiepide acque di una piscina termale, con in mano Libidine.

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Conversazione tra Ileana Florescu e Emanuela Nobile Mino