Fil rouge che lega le 17 opere della mostra “Le stanze del Giardino”, concepita appositamente da Ileana Florescu per Villa Medici, è una serie di disegni di aiuole provenienti da un manoscritto del 1588 circa, il Libro di compartimenti di giardini di Giuseppe Casabona, semplicista fiammingo al servizio dei granduchi Francesco I e Ferdinando I de’ Medici.All’interno di questi “Compartimenti”, Florescu esplora la vita del cardinale Ferdinando durante il decennio della sua residenza a Villa Medici (1577-1587): la sua passione per le arti e per le scienze naturali, per l’artigianato di lusso e per la caccia, i suoi intrighi d’amore e di potere nella corsa alla supremazia per la conquista della tiara papale. Ma, come avverte Achille Bonito Oliva, “quello di Florescu non è un esercizio di superbia intellettuale. L’artista realizza la nascita di un palato dello sguardo : la possibilità di assaporare l’opera attraverso un rapporto frontale, di attraversare e risiedere in questo spazio intermedio tra storia e geografia. È un libertinaggio ottico, percettivo e produttivo, che libera e disancora da ogni appartenenza gli elementi di partenza. In definitiva, Ileana Florescu conferma un paradosso: l’arte progetta il passato; l’arte rintraccia iconograficamente le proprie matrici, le riporta nel presente e le riformula”.Cristiano Leone, curatore della mostra, scrive: “in questo incrociarsi di dimensioni, il tempo presente è quello biografico di Ileana Florescu che si innesta sulla micro e macro storia con una virtù che solo l’arte possiede, quella di fornire un’alterità ai fatti”.
C.S.
Natura opulenta, sfarzo e meraviglia: gusto di un’epoca, non meno che illustrazione del potere principesco. Messinscena e teatro di un dominio che per essere completo doveva estendersi dal mondo naturale a quello della bellezza, possedendola come si può possedere una donna. Anche inseguendola e riconducendola al soddisfacimento dei propri giochi e desideri incuranti del suo destino, infine. A questo aspetto della vita di Ferdinando de’ Medici sono dedicati tre tableaux. Ci presentano la vicenda di Clelia Farnese, personaggio centrale nella vita del cardinale de’ Medici. Una storia intessuta di passione e di politica.
ROBERTO MANCINI
Altri due ritratti rappresentati nei tableaux Maometto II, paura e seduzione e L’uovo di Colombo e altre meraviglie, originariamente collocati nella Sala Grande di Villa Medici, non si riferiscono a personaggi legati direttamente a Ferdinando de’ Medici, sebbene abbiano giustamente acceso la fantasia e sollecitato la competenza storica dell’artista-fotografa, per l’influenza che esercitarono sugli eventi e sulla cultura rinascimentale europea, stimolando l’immaginario di scrittori e artisti.
LUCIA TOMASI TONGIORGI
I ritratti di Cristoforo Colombo e di Maometto II, rispettivamente di Cristofano dell’Altissimo e di Jacopo Zucchi, facevano parte della “Galleria degli Uomini Illustri” situata nella ‘grande sala’ di Villa Medici e iniziata verso il 1570 prima ancora che la villa sul Pincio fosse stata acquistata dal cardinale Ferdinando. Composta da 186 quadri era una versione abbreviata della serie fiorentina voluta da Cosimo I sul modello di quella gioviana collocata nel famoso Musaeum sul lago di Como (1521 – 1552).
Ben otto pannelli sono dedicati a opere di statuaria, quelle che Alvar González-Palacios definiva “i sogni di pietra… del cardinale”, cioè una parte dei numerosi marmi classici acquisiti per il fasto della villa romana e quindi spostati nel tempo a Firenze, dove trovarono collocazione soprattutto nella Galleria degli Uffizi e nel giardino di Boboli. Prima che Ferdinando divenisse granduca, le collezioni fiorentine erano caratterizzate dalla prevalenza di opere etrusche e di bronzetti, ma carenti di esemplari di grande statuaria classica. A Roma nessuno superò il Medici collezionista di statue antiche, neppure il suo concorrente, il cardinale Alessandro Farnese: a opere eccelse (la Venere dei Medici, l’Arrotino, il gruppo dei Niobidi) egli accostò marmi colorati e pietre rare, con cui abili marmorari intarsiavano tavoli, mobili e stipi, una sorta di altissimo artigianato che Ferdinando I volle riproporre e potenziare a Firenze, con la fondazione della Galleria dei Lavori, diretta non a caso da Ligozzi e divenuta poi l’Opificio delle Pietre Dure.
LUCIA TOMASI TONGIORGI