Le stanze del Giardino
Cristiano Leone
Per Roland Barthes la fotografia è “représentation pure du temps”. Le stanze del Giardino è, in questo senso, una mostra sul Tempo: quello umano, individuale e individuato, quello effimero e ciclico della natura e quello paradossale dell’arte che resiste a ogni individuazione. Quel tempo che, per dirla con Seneca, “svela la verità”.
In questo incrociarsi di dimensioni, non si incontrano solo il passato e il presente, ma anche ciò che nel passato apparteneva al passato e sarebbe perdurato nel futuro: la collezione di antichità del cardinale Ferdinando de’ Medici e la sua amatissima villa, anche detta “Giardino alla Trinità”, che oggi ospita l’Accademia di Francia a Roma.
Il tempo presente, invece, è quello biografico di Ileana Florescu che si innesta nella micro e macro Storia con quella virtù, che solo l’arte possiede, di fornire un’alterità ai fatti.
E così, all’interno del ‘perimetro aureo’ di un prontuario per aiuole della fine del Cinquecento, il giardino diventa un luogo totalmente riconfigurato. Un luogo in cui l’artista compie un viaggio a caccia di dettagli, dove la storia si svincola dal tempo e quei dieci anni (1577-1587) in cui il cardinale Ferdinando risiedé in questa sua villa sul Pincio diventano un pretesto per raccontarci anche altre storie, le nostre, le sue.
Le trecentonovantasette fotografie che compongono i diciassette lightbox esposti, sono state scattate a Roma: a Villa Medici, a Palazzo Margherita, a Palazzo Barberini, a Palazzo Rospigliosi Pallavicini e nel Giardino Segreto di Villa Borghese. A Pisa all’Orto botanico e al Duomo. A Firenze in Piazza Santissima Annunziata, al giardino di Boboli, alla Loggia dei Lanzi e al museo del Bargello. Ma anche in Sardegna, nel Maine, a Roccantica, a Migliarino Pisano, alla Torre di Bellosguardo, e nei luoghi delle peregrinazioni più personali di Ileana Florescu.
Ed ecco che elementi biografici dell’artista si intrecciano con la narrativa storica. In Cicaleggi e maldicenze , ad esempio, il tessuto inserito al centro del compartimento geometrico è quello che fu donato da Giulio Franchetti al museo del Bargello. Si tratta verosimilmente della stessa stoffa indossata da Eleonora di Toledo, madre di Ferdinando, nel celebre ritratto che le fece il Bronzino. Il paesaggio che fa da sfondo a Sotto un cielo stellato è quello della palude della tenuta Salviati (la nonna di Ferdinando era Maria Salviati, moglie di Giovanni delle Bande Nere), luogo caro all’artista. E così via, in un susseguirsi di rimandi e allusioni.
Questo viaggio di Ileana Florescu tra passato e presente ebbe inizio oltre due anni fa, quando Muriel Mayette-Holtz, dopo aver visitato l’atelier dell’artista, le chiese di raccontare una storia legata a Villa Medici. La direttrice aveva intuito che Ileana Florescu, attraverso una rappresentazione contemporanea e colta, avrebbe potuto illuminare il patrimonio artistico della villa.
Quando mi fu proposto di curare questa mostra, non avevo mai avuto l’occasione di incontrare l’artista di persona. Ne conoscevo l’opera. Da filologo, ero rimasto affascinato in particolare dalla sua Biblioteca sommersa che riusciva in un’impresa arditissima: riconnettere il libro con la dimensione ancestrale del mare. Erano lavori che, già allora, riconciliavano l’intangibile con il sensibile.
Addentrandomi poi tra le opere concepite dall’artista per Villa Medici, e in seguito alle nostre lunghe conversazioni, questa mostra mi è apparsa anche come una profonda rilettura del ruolo del fotografo e della fotografia.
In un’epoca dominata dall’ipertrofia dell’immagine, in cui la fretta ottenebra la ricerca e l’iconografia perde la propria funzione, Ileana Florescu problematizza il ruolo della fotografia e le conferisce una profondità inedita. Le sue opere non hanno nulla dei collage né dei montaggi fotografici cui ci hanno abituati artisti come Hannah Höch o Raoul Haussmann.
Tantomeno queste opere riecheggiano quelle di Sabine Pigalle, che pure interroga la nozione di tempo e la memoria collettiva, o quelle di Angelo Musco, con cui l’artista condivide parzialmente l’interesse per la visione architettonica, naturale e mistica. Nulla di più lontano, poi, dai ritratti di George Chakravarthi, paragonabili alle opere della nostra artista solo per l’inserimento di materia floreale nelle rappresentazioni antropomorfe e per i riferimenti all’antico.
La sua opera ricorda, in una chiave attualissima, il Pontormo di Vertumno e Pomona , con la sua orgiastica vita, in un tripudio di mito, nel senso etimologico di “racconto”, e natura, nel senso etimologico di “ciò che sta per nascere”. Fiorirà un iride bellissima (così nel testo del Casabona) è, d’altronde, il titolo di una delle opere in mostra, ma anche una lucente aspirazione alla pace, a “spezzare le lance”.
Con Le stanze del Giardino le fotografie si presentano al “palato dello sguardo” (secondo l’espressione di Achille Bonito Oliva) con la consistenza della pergamena, delle stoffe rinascimentali, profumando le stanze di pollini e animandole di ronzii d’ape e di cicaleggi. Queste Foto-Storie riecheggiano in qualche modo i precedenti Foto-Romanzi di Ileana Florescu, dei quali Russell Banks ha scritto: “Sono allo stesso tempo corrosivamente sovversive come l’acido
e allegramente confortanti come il ricordo d’infanzia di aver marinato la scuola”.
Illuminate dai lightbox, le stanze di Villa Medici si trasformano nelle “camere chiare” di barthiana memoria, le finestre si spalancano e, come in un affresco di Tiepolo, il vento si muove attorno a personaggi solo apparentemente immobili.
Il pubblico è invitato a questa mostra come uno spettatore a teatro. A patto, però, che voglia e sappia entrarvi con ”un piè sopra un vento”.